di Redazione
11 Maggio 2015
Ti sbatto la porta in faccia! Condannato il vicino di casa

Corte di Cassazione Penale – Sentenza n. 4691/13

Il Fatto… A scatenare la lite tra vicini era stato il parcheggio. Una macchina parcheggiata “male” ha dato il via a una vera e propria “guerra” tra condomini. Sono volate parole grosse durante la lite ma l’uomo accusato di aver ingiuriato la propria vicina è stato assolto perché la sua è stata una reazione all’offesa costituita dall’essersi visto sbattere la porta in faccia dalla donna che, così facendo ha rifiutato il dialogo. La Cassazione ha così stabilito che questo comportamento di rifiuto costituisce una vera e propria offesa.

Ingiuria, diffamazione, calunnia: cosa dice la Legge

Commette il reato di ingiuria (art. 594 c.p.) chi offende l’onore o il decoro di una persona presente, ed è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a € 516,46.

Commette invece il reato di diffamazione (art. 595 c.p.) chi offende l’altrui reputazione in assenza della persona offesa. In questo caso la pena è della reclusione fino ad un anno e della multa fino a € 1032,91.

Dall’ingiuria e dalla diffamazione deve distinguersi il reato di calunnia (art. 368 c.p.) che si ha quando taluno, con denunzia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all’Autorità giudiziaria o ad altra Autorità che abbia l’obbligo di riferire all’Autorità giudiziaria, incolpa di un reato una persona che egli sa essere innocente, oppure simula a carico di una persona le tracce di un reato. Per il reato di calunnia la pena è della reclusione da due a sei anni, salvo i casi di aggravante. La giurisprudenza ha chiarito che non è necessario che sia iniziato un procedimento penale a carico della persona offesa dal reato, essendo sufficiente la mera potenzialità che un tale procedimento si avvii.

L’uso di ingiurie a larga diffusione non ha rilevanza penale

Tribunale S. Angelo dei Lombardi, sentenza 06.06.2001 …L’uso di espressioni volgari, di uso sempre più frequente soprattutto negli strati sociali a più bassa scolarizzazione, pur rappresentando una tipica espressione indice di inurbanità e maleducazione che può trovare la sua riprovazione sul piano delle relazioni sociali, non può assumere alcuna rilevanza di carattere penale. … continua a leggere su Altalex.com.

Spesso ci lamentiamo che nella vita di tutti i giorni e in special modo nei rapporti con il vicinato in condominio, soprattutto in Italia, l’insulto sostituisce gli argomenti specialmente per chi argomenti non ha in una normale discussione. È vero, ma è vero anche che l’arte dell’insulto è un’arte “nobile”, antica e non solo italiana. Leggete “Gli insulti hanno fatto la storia” raccolta di Alfredo Accatino per le Edizioni Piemme e ve ne renderete conto. L’arte della contumelia, del resto, non conosce requie nella storia della letteratura: vituperare un nemico diventa una vera e propria opera d’arte. La cultura popolare fa eco al vezzo letterario e si difende dallo strapotere dei notabili con una penna intinta di veleno.

L’Arte dell’insulto è una delle forme più liberatorie del pensiero

Pensando alla quantità di moralisti che rimproverano insulti e invettive, richiamando a un controllo e a una misura convenienti alla dignità personale ed intellettuale, non può che rassicurare la raccolta di pensieri “L’arte di insultare” di Arthur Schopenhauer.
Nessun dubbio che un pensatore originale non potesse ridurre una delle forme più liberatorie del pensiero vero e libero, che aumenta la propria forza di vita nell’invettiva, a una questione di buone maniere.

Occorre dire, invero, che la prova del successo dell’insulto appropriato è nella quantità di approvazione soprattutto nel popolo più semplice e nelle persone anziane, che sembrano avere maturato la convinzione che il moralismo è cosa d’altri.
Schopenhauer argomenta in molti modi e non esorta a praticare l’arte dell’insulto. Ma la comprende e la interpreta suggerendo, come «extrema ratio», quasi con metodo: “Quando ci si accorge che l’avversario è superiore, e si finirà per avere torto, si diventi offensivi, oltraggiosi, grossolani, cioè si passi dall’oggetto della contesa (dato che lì si ha partita persa) al contendente e si attacchi in qualche modo la sua persona”.

Mi permetto di contraddirlo, giacché la mia pratica, anche se non quotidiana, dell’insulto ha ben diversa origine, e subentra per l’insopportazione del torto altrui che si maschera sotto forme ragionevoli. La natura del mio insulto è conseguenza dello scambio tra errore di fatto e opinione.

L’evidenza non ammette discussione, ma se si esce dal campo dei riscontri oggettivi si aprono praterie di insensatezze e pretese senza fine.
Il problema è come misurarsi con questo spazio di inferiorità e di imbecillità che non è correggibile e che non è riducibile alla ragione. E proprio in quel momento, nella convinzione di non poter essere persuasivi, si ricorre all’insulto; anzi, l’insulto finisce con l’essere la forma più alta di considerazione, rispetto all’atteggiamento di superiorità di chi lascia correre con indulgenza, indifferente all’altrui errore.

Accade anche a me, come alle persone cui si riconoscono buone maniere, di lasciar perdere, di non scaldarmi. E, alla fine, di lasciare il contendente nella sua errata convinzione, senza contraddirlo. L’insulto contiene una passione che richiede impegno, amore per gli altri, disponibilità. Spesso, dopo uno sfogo, è vero che ci si sente meglio, ma è altrettanto vero che ci si sente svuotati, senza forze, come dopo una prova fisica.

Ci si potrebbe richiamare all’autocontrollo se si fosse deciso di adottare come misura dei propri comportamenti l’ipocrisia, con l’obiettivo di tenersi buoni tutti e di non farsi turbare dal disordine del mondo. Ma è proprio per questo che esso si afferma.
Concludendo, la sentenza della Cassazione è sicuramente rivoluzionaria perché ci indica che la strada del parlarsi, anche nell’insulto, serve a comprendersi al contrario chiudere il dialogo, sbattendo la porta in faccia, genera violenza e caos.

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