Trans-Adriatic Pipeline, la trappola del Gasdotto
Siamo tutti chiusi nella trappola del gas. Da un lato chi è costretto alla dipendenza da una risorsa in via di esaurimento e da un mercato in costruzione che la Commissione europea e i governi vogliono vincolare ai mercati finanziari.
Dall’altro chi vive dove si estrae il gas, dove i diritti umani e l’ambiente vengono violati e i regimi autoritari controllano la risorsa. La via d’uscita esiste e va ricercata assieme, a partire dai territori e al di fuori delle logiche dei mercati finanziari.
La Commissione europea dal 2011 a oggi si è impelagata in un negoziato con il Turkmenistan per convincere il governo (autoritario) a vendere sul mercato europeo il proprio gas attraverso il Corridoio Sud. Il negoziato è naufragato, e il Turkmenistan ha iniziato la costruzione di un altro gasdotto che guarda verso est, il TAPI.
Senza il gas del Turkmenistan quindi, a cosa serve il Corridoio Sud? A vendere il gas russo forse? Ma ci serve ancora gas in Europa, con il crollo dei consumi che continua dal 2009?
Noi pensiamo di no, e crediamo che la vera emancipazione energetica vada costruita non dalla Russia ma dai combustibili fossili, incluso il gas. La costruzione del mercato del gas europeo non ha nulla a che fare con la nostra sicurezza energetica, e con il futuro che desideriamo costruire.
TAP, una strategia energetica nazionale fossile
Walking the line, il Gasdotto sul filo del rasoio una basilare documentazione – realizzata da Re:Common, insieme al network europeo Counter Balance e all’inglese Platformche – racconta la storia del mega-gasdotto che dal Mar Caspio dovrebbe portare il gas azero fino all’Italia, assetata di energia e notoriamente dipendente dall’estero per i suoi approvvigionamenti, a cui si aggrappa per risolvere parte dei suoi bisogni.
Il suo scopo sarebbe quello di rendere l’Unione europea indipendente sul piano energetico da Ucraina e Russia, ma continuando a mantenerla legata allo sfruttamento delle fonti fossili. A tutto vantaggio delle grandi multinazionali del settore.
E (chi è) Re:Common… dopo diverse richieste di accesso agli atti alle istituzioni coinvolte, incontri pubblici a cui la Commissione europea non ha voluto partecipare, domande specifiche alla casa madre del consorzio TAP che non hanno avuto risposta, lettere alla Banca europea degli investimenti che ci hanno dimostrato la scarsa due diligence fatta finora da questo stesso organismo dell’Unione europea, possiamo dire che non ci sentiamo per niente rassicurati rispetto a quali siano i reali interessi dietro a questo progetto da 45 miliardi di euro.
Solo per fare un esempio, qualcuno ha visto il bilancio 2016 del consorzio TAP? Qualcuno ha letto l’accordo firmato dal governo italiano con il consorzio TAP e le clausole sanzionatorie a cui faceva riferimento il ministro azero dell’energia dopo l’incontro dell’Advisory Council a Baku dello scorso febbraio? Perché No Tap né qui né altrove
La mappa dei conflitti ambientali italiani
Un conflitto ambientale si manifesta quando progetti pubblici o privati o politiche con elevati impatti ambientali si scontrano con l’opposizione della società civile: residenti, associazioni, comitati ecc. Riduzione delle risorse naturali di un dato territorio e resistenza da parte della società a difesa dei propri diritti, sono i principali elementi che concorrono all’insorgenza di un conflitto ambientale.
In Italia gli esempi sono moltissimi, dal tristemente noto caso della TAV in Val di Susa alla disastrosa gestione dei rifiuti in Campania, passando per l’ILVA di Taranto fino ad arrivare alla vergognosa situazione post terremoto che ha colpito l’Abruzzo nel 2009. È di questi giorni lo Stop alle trivelle nel mar Jonio del Tar Lazio che ha accolto il ricorso dei Comuni di Rossano, Villapiana e Crosia.
Secondo la causa scatenante, inoltre, è possibile distinguere questi conflitti in tre tipologie: quelli provocati da scelte politiche ed amministrative per realizzare opere contro la volontà della popolazione, quelli suscitati dalla mancata partecipazione pubblica là dove sarebbe necessaria e quelli legati a scelte politiche nazionali, sovranazionali, finanziarie ed economiche imposte per esempio dal FMI o dall’UE.
Il CDCA, Centro di Documentazione Conflitti Ambientali, frutto dell’unione di ricercatori, attivisti, giuristi, epidemiologi e giornalisti, si occupa di ricerca e documentazione dal 2007, con l’obiettivo di studiare le cause e le conseguenze dei conflitti ambientali, economici e sociali scatenati dallo sfruttamento di risorse naturali e beni comuni. Un lavoro che riveste un ruolo fondamentale, soprattutto oggi che la questione ambientale si impone sul panorama globale come una delle principali sfide da vincere.
Leggi e verifica l’Atlante Italiano dei Conflitti Ambientali.